La montagna, con i suoi boschi e i suoi abitanti, spesso regala a chi la sa ascoltare delle emozioni ancestrali. Talvolta finiscono dentro lo zaino e ci accompagnano fin sulla porta di casa, altre volte, invece, durano poche frazioni di secondo, e come un alito di vento improvviso che attraversa il bosco, svaniscono in pochi secondi.
Andrea Zampatti, fotografo naturalista, insegue quest’ultime nel tentativo romantico di imprimere sulla pellicola il linguaggio emotivo della natura. Conosciamolo meglio.
Come ti sei avvicinato alla montagna?
Anche se ora vivo sulle colline della Franciacorta, in realtà vengo dalla Pianura Padana e, nonostante non venga da una famiglia appassionata di montagna, ho sempre avuto, fin da bambino, la passione per la natura. Ricordo ancora che quando avevo tre-quattro anni, guardavo solo ed esclusivamente cartoni animati o film dove c'erano gli animali selvatici. L’avvicinamento alla montagna è quindi arrivato in autonomia, prima chiedendo ai miei di mandarmi negli Scout e poi, una volta ottenuta la patente, spostandomi sempre più verso la montagna per approfondire la mia passione per l’esplorazione e per gli animali.
Fino a quando, a queste passioni, hai unito quella per la fotografia.
Inizialmente, avevo il sogno di diventare un graphic designer. Ho fatto l’accademia delle belle arti, dove ho studiato grafica, e qui, durante il percorso di studi, ho avuto modo di incontrare la fotografia. Prima di allora, non mi era mai interessata particolarmente. A quel punto ho pensato: “Vado spesso in montagna e cerco sempre gli animali col binocolo, proviamo a comprare una macchina fotografica e vediamo cosa salta fuori”.
E com’è andata?
È stato un colpo di fulmine, una cosa molto forte e prorompente. Una di quelle passioni che ti risucchiano subito in maniera potente. La fortuna di vincere qualche concorso fotografico ha aiutato molto a far girare il mio nome e a farmi conoscere, oltre che a darmi fiducia. Nonostante fotografassi molto spesso in montagna, ho cercato di estendere un pochino anche i miei orizzonti ad altri ambienti naturali come le zone umide della Pianura Padana, i fiumi e le colline. Poi, un po’ alla volta, anche per questioni di tempo, ho dovuto fare delle scelte. Mi sono detto: “Vado a fotografare il Martin Pescatore, oppure vado in montagna?”. Alla fine, la scelta ricade sempre su di lei.
E quando, la passione per la fotografia, si è trasformata in un lavoro?
La prima macchina l’ho comprata nel 2006, ma i primi anni era solo passione pura. Nel mentre ho iniziato a lavorare come grafico, affiancando, un po’ alla volta, anche la fotografia. Però era una fotografia più legata a quello che facevo, quindi ai siti internet o alle locandine. Poi nel 2014, un amico mi ha proposto di organizzare dei viaggi fotografici. L’idea non mi è sembrata affatto male. Anche perché, nel frattempo, mi stavo rendendo conto che il lavoro di grafico non era esattamente quello che mi aspettavo. Questa opportunità offerta dal mio amico mi ha aperto un mondo. Ho pensato che con questi viaggi, oltre che ad accompagnare i clienti, avrei avuto anche più tempo da dedicare ai miei progetti personali.
Al di là dell’attività di accompagnatore in questi viaggi, non ho clienti che mi commissionano dei servizi, non lavoro direttamente per delle riviste ma mi dedico a progetti personali. In poche parole, cerco di investire in un mio progetto, e poi, in un secondo momento, propongo le mie immagini.
Qual è la tua stagione preferita per immergerti nella natura e fotografare?
Essendo i miei progetti molto personali, trovo nell'inverno e nell'autunno l'apice del romanticismo e della poesia. In queste stagioni mi sento veramente un tutt'uno con la natura e circondato dalle sue forze; mi sento proprio a casa. Infatti, dalla tarda primavera, vado in letargo. A differenza di tutti gli altri animali, faccio un letargo inverso, ci vado in estate per poi rinascere in autunno.
Sono stagioni in cui i boschi sono meno frequentati e più selvaggi.
Si, questa è una delle motivazioni che mi fanno prediligere quei momenti dell’anno. Ma il fattore principale è legato alle atmosfere, a un discorso estetico-emozionale. A me piacciono più le nebbie, il brutto tempo o la neve. Mi piacciono le bufere, il bianco, queste atmosfere minimali e un po’ magiche che amplificano la sensazione di silenzio e di solitudine, intensa nel suo senso più profondo. Il mio obiettivo non è quello di documentare gli animali che vedo nel bosco, ma riuscire, nella maniera migliore possibile, a trasmettere l'emozione che ho provato in quell’istante, in quell’incontro. Io mi emoziono molto in quelle determinate condizioni ambientali, e quindi, questo si riflette sulle fotografie.
Nonostante abbia fotografato tanti animali che potrebbero sembrare molto difficili e rari, l'incontro più intenso che ho avuto è stato con un animale relativamente comune sulle nostre montagne. È un ricordo legato a una fotografia scattata ad un cervo, qui, in Val Camonica, nel 2015.
Non tanto per il risultato fotografico finale, ma per tutto quello che si è creato attorno a questa immagine fin dall'inizio. Ero da solo in una radura al limite del bosco, un’ora prima dell’alba, con le nebbie che si muovevano tra gli alberi. Ad un certo punto ho sentito il bramito in lontananza che si avvicinava piano piano. Non era certo una novità, perché di cervi ne ho fotografati e visti tantissimi. Però poi c'è stato quel momento così particolare in cui ho sentito che l'animale si muoveva verso di me. Io ero nascosto nell'erba alta e sentivo il cervo uscire piano piano dal bosco, sempre più vicino, fino a fermarsi nel bel mezzo della radura e bramire a venti metri da me. Era bellissimo, attorno a noi c'era questa atmosfera pazzesca fatta di nebbie mattutine di fine settembre. Ad un certo punto, ancor prima di vedermi, il cervo mi ha sentito e mi ha guardato dritto negli occhi da 15 metri. Le sensazioni che ho provato in quel momento lì, sono cose che poi fai fatica anche a spiegare. Però son riuscito a scattare un paio di fotografie che secondo me esprimono abbastanza bene questo incontro. Tutte le volte che le riguardo mi viene ancora la pelle d'oca.
L’animale più difficile invece?
Nonostante ci siano delle specie che io prediligo, non ho mai avuto quella frenesia di dover fotografare a tutti i costi un animale. Non avendo dei vincoli dettati da una rivista, seguo un pochino il flusso di quello che succede. Generalmente, sono molto attratto da un ambiente nella sua interezza e cerco il più possibile di fotografare tutti gli animali che abitano quell'habitat. Poi, in realtà, un animale che vorrei tantissimo fotografare sarebbe la lince. Però, un po' per pigrizia, un po' per la difficoltà, non c’ho mai provato seriamente.
Ti è mai capitato di trovarti a tu per tu con un animale e, al momento di scattare la foto, rinunciare all’immagine per tenere solo per te quel ricordo?
In realtà, a me succede molto, molto spesso. Poi dipende tanto dalla situazione nella quale mi trovo. All'inizio, quando il mio archivio non era così ricco, non mi lasciavo scappare niente, tutto quello che incontravo diventava un soggetto fotografico. Ora, però, mi succede sempre più spesso che davanti a un animale non tiri fuori neanche la macchina fotografica ma mi sieda a guardarlo. Questo magari non è esattamente il caso, ad esempio, della pantera delle nevi in quel famoso film.
Esatto, non si può paragonare questa cosa a un evento così raro e particolare. Però io adesso, spesso, quando mi trovo davanti un animale, non lo fotografo. Però ecco, se l'atmosfera è comunque talmente particolare da permettermi di realizzare un'immagine unica, o che comunque può arricchire in maniera importante l'archivio di quella determinata specie, allora scatto. Però è sempre più raro. Sono un fotografo abbastanza anomalo perché mi piace veramente tanto godermi il momento. Mi capita sempre più spesso di uscire anche senza macchina fotografica, andare col binocolo, sedermi e guardarmi gli animali. Questo, ripeto, è possibile grazie al fatto che non debba consegnare immagini con una certa fretta.
C’è il rischio, facendo il tuo lavoro, che dopo i primi incontri si perda un po’ l’entusiasmo nell’incontrare un animale selvatico? Che la quotidianità spenga l’ardore delle prime volte?
Io credevo di sì, ed ero arrivato anche al punto di pensarlo. Però, alla fine, ogni volta che mi trovo davanti ad un camoscio o ad uno stambecco, sono felice come un bambino e mi siedo ore a guardarli. La sensazione del primo incontro rimane unica, ma l'emozione è sempre tanta. Non mi sono stufato di nessun animale che ho fotografato. Continuo a fotografare e a osservare con grandissima emozione cervi, alci, galli forcelli, anche se li ho fotografati decine di volte.
Con la diffusione degli smartphone abbiamo tutti la possibilità di scattare fotografie in qualunque momento. Pensi che questo fattore abbia influenzato il modo di vivere la natura rispetto al passato?
Credo che si siano creati degli aspetti negativi e altri positivi. Da una parte, la fotografia ha avvicinato tante persone alla natura. Allo stesso modo, la creazione di un archivio così enorme di immagini naturali, può contribuire a sviluppare nelle persone la consapevolezza che sulle nostre montagne ci sono ancora dei paesaggi così belli e, magari, risvegliare qualche istinto di preservazione. D’altro canto, in alcune aree naturali, si è creata un’invasione di massa con tutti i risvolti negativi che questo comporta.
L'impatto c'è, ed è tanto. In alcune zone, in particolare dov’è arrivato il turismo di massa, il peggioramento dell'habitat naturale è evidente e il processo è molto rapido. L'esempio più eclatante è l'Islanda. Ci sono stato la prima volta nel 2013, quindi non tantissimo tempo fa. Avevo incontrato un turismo molto rispettoso, non di massa, e ci si sentiva ancora in una terra selvaggia, dove la natura era predominante. In pochissimi anni, l’isola, è diventata un centro commerciale. Sono stati costruiti tantissimi alberghi nuovi, parcheggi, bagni pubblici e tantissime strade sono state asfaltate.
Oltre a questo c’è il fattore del cambiamento climatico. Quanto ha influito la tua attività? Penso, ad esempio, agli spostamenti più incerti nelle migrazioni animali.
È veramente pazzesco quanto questo cambiamento si possa vedere di anno in anno. Per quanto riguarda gli animali, per ora, non c’è stato un mutamento così marcato nelle loro abitudini. Ad esempio, la periodicità del bramito del cervo, o il periodo degli amori dei galli forcelli, così come l’arrivo del cuculo nel bosco dietro casa, non hanno subito modifiche. Quello che sta cambiando rapidamente è l’habitat di questi animali. Ma è a livello climatico dove ho visto cose veramente pazzesche: inverni da 7-8 gradi a 400 chilometri sopra il circolo polare artico con sbalzi di temperatura sempre più repentini. Tutto questo è devastante. Si passa dai -30 ai +10 per poi tornare a -15 o fermarsi a +5. Sono cambiamenti eclatanti, che in parte vediamo anche qui in Italia, ma nell'Artico sono molto più evidenti.
Quello che le persone vedono è solo la parte finale del tuo lavoro che, invece, prevede appostamenti di molte ore in silenzio da solo. Questa lunga attesa “dell’altro”, quanto ti ha permesso di incontrare e conoscere meglio te stesso?
Per me, l'attesa, o la ricerca di un animale selvatico, è un processo estremamente meditativo e contemplativo. Infatti, quando sono in un capanno, ad aspettare tre ore prima dell'alba che arrivi il gallo forcello, difficilmente ho grandi pensieri. Ovviamente questa cosa a livello personale e interiore aiuta tantissimo. Però, in quei frangenti, sono molto nel momento. Sono molto attento ai rumori, al cambiamento del paesaggio, alla luce che sale, ai rumori. Cerco di vedere se in lontananza sta arrivando qualcosa. È un processo dove i sensi sono così in allerta che poi, a livello di pensieri, ne hai veramente pochi.
Spesso ti trovi in ambienti freddi e umidi. Quant’è importante in questi casi l’attrezzatura e l’abbigliamento adeguato?
Credo sia essenziale e fondamentale anche per godersi appieno l’esperienza. Per essere veramente nel momento devi stare bene. Se hai una sofferenza di qualsiasi tipo, la tua attenzione poi va lì, per cercare di alleviarla, col risultato che rovini l’intera uscita.
Ho conosciuto Elbec tramite un amico fotografo, Stefano Zanardelli, con cui collaboro. Stefano mi aveva parlato di questi prodotti in lana. Mi ha colpito fin da subito l’altissima qualità e la loro capacità, anche con temperature molto, molto basse, di tenere caldo. Prima di allora avevo provato diversi tipi di calze, ma nessuna si avvicinava alle sensazioni di comfort che ho trovato con Elbec.
Però, quello che mi piace ancora di più, è l'approccio etico dell'azienda. Il modo in cui creano i prodotti, i materiali che utilizzano, il fatto di realizzarli con le persone del posto, cercando di far vivere un po' l'economia locale.
Qual è il tuo prodotto preferito?
Sicuramente le caldissime calze in lana merinos Mountaineering Nature; lavorando spesso in ambienti freddi senza muovermi molto, mi permettono di mantenere i piedi sempre belli caldi. Poi, da quando Federico mi ha fatto provare il berretto pesante di lana fatto a mano Classic Strong, ovviamente color muschio, ce l'ho sempre in testa, come vedete dalle foto!
Andrea Zampatti è un fotografo naturalista con oltre 10 anni di esperienza, vincitore del prestigioso concorso fotografico Glanzlichter 2015 nella categoria "artists on wings". Andrea fa parte di una squadra di fotografi che organizzano viaggi fotografici nelle aree più remote del pianeta. Nel team ci sono anche agenti di viaggio con moltissima esperienza nell’organizzazione di viaggi di gruppo. La loro agenzia si chiama Viaggi Fotografici Biz e sono la prima agenzia italiana di viaggi specializzata esclusivamente in viaggi fotografici.
Andrea potete contattarlo su FB oppure INSTA
M49 è il simbolo di tutti coloro che non sono pronti a rinunciare alla libertà, perché anche quando ci avranno tolto...
Tutti gli esseri viventi sono parte integrante della biosfera senza distinzione e senza possibili pregiudizi dettati da una visione antropocentrica...
E' venuto il momento di ripensare a come manifestare il nostro dissenso nei confronti di un uso irresponsabile del territorio montano !...
"La mia montagna. Le nebbie nel bosco, la prima nevicata d’autunno, i bramiti nella notte, il cinguettare allegro della Cincia dal...
Vogliamo vedere il futuro del Lagorai da una prospettiva diversa: deve rimanere il luogo silenzioso e aspro che abbiamo conosciuto
Intervista a Wiliam da Roit - ultra runner e uomo libero - ufficial testimonial Elbec 2018
"Il Pizzo del Becco: ogni bergamasco con la passione della Montagna conosce questa cima situata a Nord della bellissima conca dei Laghi...