Per anni, durante il periodo estivo da giugno ad ottobre abbiamo ospitato nel nostro Bed & Breakfast, visitatori prevalentemente stranieri, che sceglievano la nostra struttura in particolare per la posizione strategica della Val Pettorina che si trova nel cuore delle Dolomiti fra Marmolada e Civetta.
Si trattava di escursionisti generalmente stranieri e giovani, che amavano la montagna ed erano curiosi di fare hiking in Dolomiti, e che quindi non rientravano nella tipologia del tipico visitatore in cerca di rifugi accessibili con l’auto o con gli impianti a fune o al massimo con sentieri molto facili.
I nostri ospiti erano quasi sempre, persone preparate per affrontare l’ambiente montano sia per quanto riguarda l’equipaggiamento che per la preparazione fisica e tecnica.
Eppure, nonostante questa premessa, quello che ci ha sempre colpito è come tutti i nostri ospiti ci chiedessero sempre ed immancabilmente come raggiungere esclusivamente tre località: il lago di Carezza ; il lago di Braies e le Tre Cime di Lavaredo.
A volte, con nostra sorpresa, qualcuno chiedeva informazioni per raggiungere il lago di Sorapis.
Tutte le Dolomiti, con i loro nove sistemi montuosi riconosciuti Patrimonio Mondiale per il loro valore estetico, paesaggistico, geologico e geomorfologico, ridotti a tre giornate di trekking a cui i più temerari aggiungevano una giornata per una via ferrata rigorosamente al Col dei Bos.
Abbiamo tentato più volte di dirottare i nostri clienti su mete meno conosciute, più selvagge ed al contempo più vicine. Quasi sempre però, nonostante accettassero per cortesia i suggerimenti, ripiegavano irrimediabilmente sulle mete iniziali.
Il lago di Carezza è forse il caso più emblematico, perché nonostante esistano centinaia di laghetti alpini meravigliosi, isolati e con acque cristalline il più noto e freguentato è quello che si trova su di una strada statale raggiungibile camminando quattro minuti dal parcheggio.
Ecco … questa fruizione della montagna … a noi risulta … estranea.
La colpa purtroppo è solo nostra e la situazione economica imposta, con chiusure invernali e brevi aperture estive, non ha fatto altro che aggravare una situazione già gravemente compromessa.
I clienti stranieri che ci chiedevano dove fossero le tre località più visitate delle Dolomiti erano persone che conoscevano la montagna, che provenivano spesso da regioni impervie, erano sportivi, amanti del trekking e dell’arrampicata.
Questi clienti non erano ne’ simili a Pinuzzo, che arrivato chi sa come al Bivacco dal Bianco al cospetto della parete argentata (l’imponente parete sud della Marmolada) aveva espresso la sua ammirazione scrivendo sulla parete del bivacco, ne’ simili a Gioele che salito al Lagazuoi con la funivia trovandosi per la prima volta di fronte vertiginosa vastità dei paesaggi dolomitici, aveva estratto la sua bomboletta dallo zaino ed aveva manifestato, come meglio poteva, il suo sgomento!
Però, forse come Pinuzzu e Giole anche i nostri clienti erano stati fagocitati dal ritmo frenetico del turismo mordi e fuggi ed anche loro in brevissimo tempo dovevano raggiungere una serie di luoghi che si erano prefissati di visitare, dovevano mettere la crocetta nel loro “calendar” mentale, fare il selfie, magari anche qualche breve video con il drone e postarlo su Instagram.
La montagna, intendendo per montagna un qualsiasi ambiente naturale particolarmente vulnerabile, ha bisogno di rispetto, ma questo rispetto deve prima di tutto maturare attraverso il riconoscimento dei propri limiti e della necessità di rallentare in modo da ritrovare quel tempo necessario a relazionarsi con la natura e prima ancora con se stessi.
Sono innumerevoli le aggressioni su tutto il territorio montano, sia quello alpino che quello dolomitico, e tutte queste aggressioni hanno una matrice comune: aumentare il numero dei visitatori giornalieri.
Nuovi impianti sempre più rapidi e potenti, nuove strade sempre più più larghe, nuovi accessi, nuove piste, nuove infrastrutture, nuovi eventi sia culturali che sportivi il cui unico obiettivo è quello di portare molte persone in un periodo il più breve possibile.
"L’antropizzazione forzata e innaturale di questi spazi ne soffoca irrimediabilmente la vocazione" - ha affermato la vicepresidente generale del Cai, Lorella Franceschini, in occasione di un convegno sul tema dei villagi alpini.
Non va bene banalizzare la montagna per renderla alla portata di tutti, perché la montagna non sempre è per tutti: frequentarla vuole dire freddo e caldo, sudore e fatica, significa avere paura ed essere capaci di vincerla. Non possiamo fingere di ignorare che rifugi simili a hotel d’alta quota, o piste da sci perfettamente piallate su finta neve, o vie ferrate che offrono emozioni adrenaliniche a basso costo nascondono una sottile quanto insidiosa mistificazione e rappresentano il primo scalino di una discesa verso una utilizzazione della montagna prevalentemente ludica e banalizzante.
Personalmente non pensiamo che sudore e fatica sia il solo modo per vivere la montagna anche se per noi è sicuramente il più bello.
Esistono mille approcci diversi che possono essere più contemplativi, più legati alla cultura e alla storia, piuttosto che all’interesse scientifico per determinati habitat.
Indipendentemente da come ci si avvicini all’ambiente montano quello che è certo è che negli ultimi anni, ancor più di prima la fruizione stia diventando prevalentemente predatoria.
Il caso della Val di Mello è solo l’ultimo dei molteplici esempi di scempio e predazione a cospetto del quale un bene a valore universale viene calpestato in favore dell’interesse di pochi.
Il progetto di ERSAF (Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste) era quello di realizzare un percorso trekking accessibile anche ai disabili lungo la ramificazione orientale della Val Masino. Questo progetto nostante fosse stato fortemente osteggiato sia dagli ambientalisti che dalle Guide Alpine della Val di Mello, ha visto una prima fase di lavori che hanno avuto impatti devastanti sulla valle.
Fortunatamente lo sdegno di una larghissima fetta della società civile ha costretto l’amministrazione ad interrompere i lavori.
Noi che viviamo queste terre e che cerchiamo di trarne il massimo profitto nel più breve periodo.
Siamo noi che cerchiamo di stagionalizzare al massimo il periodo turistico, riducendo l’offerta e proponendo pacchetti preconfezionati e sempre uguali.
Siamo noi che abbiamo abbandonato le tradizioni locali per sostituirle con una formula alla Disneyland fatta di polenta al capriolo e canederli, cameriere con corpetti a quadretti e barman con i pantaloni scamosciati di finto cuoio.
Secolioli di estrema povertà e di vita durissima non giustificano tutto questo ed è nostro compito rifiutare questa versione edulcorata e falsa della montagna ed iniziare a riappropriarci delle nostre tradizioni e della nostra cultura, magari facendoci aiutare anche da tutte quelle persone che proprio perché "vengono da fuori" possono aiutarci a capire meglio quale sia la fortuna di abitare in luoghi riconosciuti come patrimonio dell'umanità e come sia fondamentale diventarne i custodi e preservarli per le generazioni future.
La montagna non può essere per tutti ma solamente per le persone capaci di rispettarla, perché la montagna merita rispetto.
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