Pensiamo a quelle lenzuola di lino strappate, quelle della nonna. O alla coperta di quando eravamo piccoli, cui teniamo tanto, consumata dall’usura. O ancora, a quel cappottino anni 60 su cui le tarme hanno pasteggiato tutto l’inverno, e a quei calzettoni, caldi e bellissimi, che dopo anni di avventure condivise ora hanno i talloni bucati. Che facciamo, buttiamo via? Ricompriamo?
Assolutamente no!
Recuperiamo, ripariamo, e anzi, facciamo di più: ricreiamo.
Decidiamo di mostrare le ferite, di non nascondere il tempo che passa. Esibiamo finalmente l’errore, mostriamo il difetto, lo enfatizziamo affinché si trasformi in pregio, espressione della nostra personalità.
Dopo una certa età siamo responsabili della nostra faccia, diceva il geniale scrittore argentino Borges, perché come decidiamo di mostrarci dice molto di quello che effettivamente siamo. Più prosaicamente potremmo sentenziare: dimmi cosa indossi e ti dirò chi sei.
Quindi, se quelle lenzuola che hanno fatto la storia ritrovassero l’anima con il tocco magico di un filo di seta colorato? E se quel cappotto anni 60 esplodesse in una cascata di stelline laddove prima era tempestato di buchi?
Questo fa Paola Pellino con il suo “visible mending”, il rammendo creativo che fa di ogni capo un capo unico (e sostenibile). Parte dal buco e lo fa diventare una piccola opera d’arte. Non ricama, non cuce, non nasconde: rammenda con il pennello colorato dell’ago.
Quella del rammendo creativo è una pratica sconosciuta in Italia fino a qualche tempo fa. Com’è nata la tua idea?
“Metti di avere una madre sarta che ti ha educata al bello e alla qualità. Metti una passione per il Giappone e per l’arte. E mettici tanti anni di lavoro come buyer per un importante atelier di moda di Torino. Mescola tutto fino a che un giorno non si accende la scintilla dell’ispirazione, grazie all’incontro con Tom of Holland (alias Tom Van Deijnen), un artista che ti fa scoprire le meraviglie dell’arte del rammendo creativo. A quel punto ti rendi conto che hai trovato la tua strada, molli tutto e cominci a creare da ogni buco o bruciatura una nuova idea di tessuti e di abiti, prima con gli amici e poi via via… fino ad arrivare qui”.
Che cosa è successo in questi quattro anni, da quell’incontro a oggi?
“Ho viaggiato molto, ho fatto ricerca, ho studiato il sashiko giapponese, mi sono appassionata di artisti nord europei giapponesi e americani, ho appreso nuove tecniche. Il lavoro ha continuato a crescere e adesso faccio anche corsi, se possibile in presenza, se no online, per chi vuole imparare. Sono i miei repair cafè”.
Poter migliorare con un rammendo un capo cambia completamente la prospettiva di acquisto?
“Certo. Io penso che siamo vittime della fast fashion e che invece dovremmo comprare meno e comprare meglio. Dobbiamo pensare che quando compriamo vestiti a poche decine di euro c’è qualcun altro che sta pagando la differenza di prezzo, e di solito sono lavoratori sottopagati e sfruttati. E anche noi, comunque, la paghiamo in termini di qualità: fibre riciclate, corte, facili alla rottura e irrecuperabili”.
Sui social tu sei “La guardarobiera”. Perché?
“E’ un nome che è nato parlando con un’amica. La guardarobiera è una figura che esisteva nelle famiglie benestanti del secolo scorso, era la governante del guardaroba di casa. Ci volevano cura e gusto per occuparsi del mantenimento del guardaroba di famiglia, dal tessile casa all’arredo fino all’abbigliamento. Mi piace l’idea di reincarnare quella figura”.
A cosa ti ispiri nel tuo lavoro?
“Mi piacciono i libri illustrati di arte. Mi ispiro molto all’Oriente, dal Giappone all’India e anche all’Africa. Mi piacciono le geometrie e l’astrattismo. Ma mi faccio attrarre anche da quadri e foto… ogni occasione è buona per immaginare un nuovo rammendo”.
Quali lavori ti hanno dato più soddisfazione?
“Ogni cosa che faccio mi piace. Ho però una passione per le scarpe, le calze e i calzettoni. E trovo che sia un lusso rammendarle. Anche le migliori prima o poi si logorano, e poterle far rivivere mi dà molta soddisfazione”.
n.d.r. Il bello di utilizzare prodotti realizzati con filati naturali è che si possono riparare una infinità di volte e poi, quando non è più possibile, si possono sempre riciclare offrendogli l'opportunità di una seconda vita.
Da sempre interessati al rammendo ed il riciclo come atto politico abbiamo quasi per caso scoperto i lavori di Paolo Pellino e ne siamo rimasti incantati.
In occasione di questo articolo sl nostro blog siamo stati omaggiati di questo video in cui Paola Pellino mostra due tipologie di riparazione (il Punto Tessitura ed il Punto Duplicato) utilizzando le nostre calze più pesanti in lana merino come supporto ed i nostri filati 100% Lana Organica per il rammendo.
Se sei interessato ai lavori di Paola Pellino puoi seguirla sui profili La Guardarobiera che trovi linkati:
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