Ti sei perso la prima parte del viaggio? leggila qui!
Scrivo da un piccolo aeroplano bielica in attesa di un decollo che non so ancora se avverrà o meno. Pesanti nuvole mulinano intorno ai 1500 m di Mestia mentre il pilota scruta il cupolino per capire se la visibilità è sufficiente per lasciare questa esigua striscia d’asfalto georgiana. Dalla sua valutazione dipende tutto il mio viaggio: dovesse ritenere troppo rischioso volare non avrei altra alternativa che aspettare la Marshrutka (una sorta di pulmino) in partenza domani e che, in una decina d'ore, mi porterà a Tbilisi. Da lì, dopo un paio di giorni, un aereo di linea mi riporterà in Italia. Il problema è che se oggi il tempo è incline alla pioggia domani è prevista neve. E, se scendere dalle montagne per la mulattiera fatta all’andata con un pulmino stipato era già un’incognita prima, il manto nevoso complicherebbe ulteriormente le cose. Se poi la neve dovesse cadere copiosa la strada potrebbe anche venir chiusa per alcuni giorni. E questo sarebbe definitivamente un problema per il mio ritorno.
In questo lungo percorso dove ho toccato tre diversi Paesi ho sempre incontrato grosse difficoltà quando era il momento di lasciarli. In Turchia, a causa dei confini chiusi con l’Armenia, ho dovuto intraprendere un viaggio estenuante di 24 ore. Nel mezzo, pressanti controlli notturni della polizia e cambi inaspettati di veicoli e di valichi di frontiera. Qualche settimana dopo, quando è stata l'ora di lasciare il nord dell'Armenia, mi ha rallentato prima l'influenza, poi la mancanza di collegamenti con Tbilisi. Solo l’aiuto di una ragazza di Erevan mi ha permesso di strappare all’ultimo minuto un posto su di un furgone di passaggio e a fare in modo che il mio scarso russo fosse sufficiente per farmi arrivare realmente a destinazione. Ora sono qui, su questo piccolo velivolo, in attesa del mio destino.
Le mie ginocchia premono sul sedile del pilota mentre cerca nelle nubi un pertugio o qualche segnale benevolo a cui aggrapparsi. Alle mie spalle la manciata di passeggeri presenti si chiude nei cappotti e nei loro pensieri. Io guardo fuori dal piccolo finestrino e mi torna in mente Isolde, la signora che tra queste maestose montagne mi ha accolto a casa sua dove l’unica lingua in comune era quella degli occhi e della gentilezza. Rivedo la stufa in mezzo alla stanza che faceva da camera da letto, soggiorno e cucina. Le sue mani nodose che toglievano il pane dal forno e mi preparavano gustosi pasti al ritorno dai ghiacciai e dalle scarpinate. Ripenso al calore del suo abbraccio finale e rivedo i suoi occhi stanchi ma intrisi d’amore. Capisco che, alla fine, lì dentro c’è tutta la Georgia e anche tutto questo viaggiare. L’emblema di tutta l'umanità incontrata in questo mio peregrinare che senza volerlo mi ha cucito addosso degli insegnamenti. Ci ritrovo Şevket che mi ha spiegato che "nella vita non è importante guadagnare soldi ma guadagnare nuovi amici", Mustafa che arrossendo mi ha confessato che "se posso aiutare qualcuno io sono felice". C’è Nana, che una volta di più mi ha fatto capire di appartenere alla montagna; Alina, che sotto la costante minaccia dei missili azeri mi ha insegnato le priorità della vita e l’importanza della propria presenza per gli altri. E poi tutti le persone che mi hanno offerto un chay, una vodka, un passaggio, un telefono, una traduzione o, semplicemente, la loro compagnia e le loro storie.
Turchia, Armenia, Georgia. Ho sempre fatto fatica a lasciare ciascuno di questi Paesi ma con quest’ultimo, forse, lo sforzo è maggiore e il maltempo, mi rendo conto, non c’entra nulla. Nelle ultime settimane ho pianto inginocchiato nella neve profonda quando mi si è parata davanti l’enorme catena ghiacciata del Shkhara, mi sono sentito a casa tra le vecchie dimore in legno di Tbilisi, ho rivissuto le vite austere dei miei nonni vagando per le vie acciottolate dei paesini di pietra di Ushguli e Mestia. Col passare dei giorni qualcosa si è involontariamente impigliato dalle parti del cuore e so che, presto o tardi, reclamerà il mio ritorno.
Il pilota prende le cuffie e, voltandosi, ci fa un cenno d’assenso con il capo. Le prime gocce iniziano a rigare il finestrino quando l'assordante elica inizia a roteare.
Il cielo è un’enorme incognita bianca, non resta che andare a vedere cosa c’è oltre.
La montagna non può essere per tutti ma solamente per le persone capaci di rispettarla, perché la montagna merita rispetto.
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