LENIN PEAK LENIN PEAK

LENIN PEAK

Marcello Villani racconta la sua esperienza sul Lenin Peak ( 7.134m ) che si è svolta nel luglio del 2022 assieme all'amico Francesco Saviozzi
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“Niente TOR quest’anno, quest’anno vado sul Lenin Peak”: così è iniziata l’avventura: un messaggio vocale mandato a Francesco il quale immediatamente ha capito che la mia affermazione in realtà era un invito. È così, a distanza di qualche mese da quel giorno, si parte per questa nuova avventura: non una corsa contro il tempo, non una gara di ultra resistenza ma “semplicemente” tanta montagna. Una spedizione alpinistica, non esattamente come quelle dei grandi alpinisti che mi hanno fatto sognare fin da ragazzo di avventure spettacolari alla ricerca dell'ignoto ma comunque una vera spedizione alpinistica: 4 campi allestiti con tende di varie tipologie, l’ausilio di una guida, un grande zaino contenente tutto l'occorrente, il fornello per scioglie la neve e… via, si parte!!

Il sentieroper raggiungere il Campo 1 - Foto @M.VillaniIl sentieroper raggiungere il Campo 1 - Foto @M.Villani
Vista aerea della Valle del Alay ai piedi della catena del Pamir  - Foto @M.VillaniVista aerea della Valle del Alay ai piedi della catena del Pamir  - Foto @M.Villani

Quando, leggendo libri e guardando film, vedevo gli alpinisti impegnati nelle scalate di montagne incredibilmente affascinanti, mai avrei immaginato di poter fare una simile esperienza io stesso! E invece così è stato: direzione Kirghizistan, Lenin Peak, un “bestione” di 7134 metri, una delle 200 montagne più alte della terra!

I giorni prima della partenza li abbiamo passati a riempire il borsone di tutto quello che può servire per andare da +30° a -30° di temperatura, controllare 1000 volte di non aver scordato nulla, confrontarsi con i più esperti per avere consigli e conferme!

La Valle dell'Alay con il Lenin Peak sullo sfondoLa Valle dell'Alay con il Lenin Peak sullo sfondo
Il Campo Base 3.600 m - Foto @M.VillaniIl Campo Base 3.600 m - Foto @M.Villani
Stelle alpine tajike - Foto @M.VillaniStelle alpine tajike - Foto @M.Villani

E in un attimo si arriva al campo base, quota 3700, collocato in una prateria di stelle alpine, che diventa immediatamente la nostra magione amica, il posto dove far riposare testa e corpo. Immediatamente inizia il valzer delle salite per richiedere al nostro corpo di fare quello sforzo che viene chiamato acclimatamento; il processo è quello delle ripetute, chi corre sa di cosa parlo: fare uno sforzo, procurare una specie di trauma, in modo che l’organismo sia portato a incrementare la sua resistenza verso quel tipo di attività, tornare in basso, riposarsi, e ripartire, più in alto di prima. In questo modo dal campo base siamo arrivati, in circa una settimana, all’ultimo campo, il terzo, situato a 6100 m di altezza.

Quel giorno si vedeva la vetta come se fosse a due passi ma in realtà quei due passi erano 6 km e 1000 m di dislivello (normalmente si impiegano 8 ore per percorrere quel tratto).

Non eravamo acclimatati e quella distanza e quel dislivello sarebbero stati troppo impegnativi per la nostra incolumità ed in fondo nemmeno volevamo fare qualcosa di diverso da quello che era il piano: salire su montagna che normalmente è ritenuta piuttosto semplice da scalare con tutti gli accorgimenti del caso, senza forzare nulla.


Il Campo 1 4.400 m - Foto @M.VillaniIl Campo 1 4.400 m - Foto @M.Villani
Il Campo 2 5.300 m - Foto @M.VillaniIl Campo 2 5.300 m - Foto @M.Villani
La salita fra il Campo 1 e il Campo 2 - Foto @M.VillaniLa salita fra il Campo 1 e il Campo 2 - Foto @M.Villani

Scendendo si era carichi di energia e determinazione ma, come si dice, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi: quel campo, quella visibilità, quella temperatura, quella gradevolezza del rumore del rampone sulla neve non l’avremmo mai più trovata a quella quota; Infatti appena arrivati al campo base avremmo dovuto fare i conti con le previsioni metereologiche, impietose. Quel campo 3, così accogliente, si sarebbe trasformato nei giorni successivi nel posto più freddo dove mai io e Francesco siamo stati.

Certo le previsioni possono sbagliare, e certo se sbagliano, e tu sei a tre giorni di distanza dalla vetta, ti mangi le mani. Così decidiamo di comune accordo con la nostra guida, di ripartire comunque alla volta degli ultimi campi, in modo da essere pronti qualora ci venisse regalato un momento di bel tempo. Niente da fare: quasi tutte le salite da un campo all’altro vengono influenzate da tempeste di neve e grandine che non sono affatto da sottovalutare, a quelle quote!

Salita verso Campo 3 - Foto @M. VillaniSalita verso Campo 3 - Foto @M. Villani
Salita verso Campo 2 - Foto @M. VillaniSalita verso Campo 2 - Foto @M. Villani

Arriviamo, dopo una decina di giorni, nuovamente al campo 3, stavolta ben acclimatati ma decisamente stanchi a causa della neve fresca su cui abbiamo dovuto disegnare il percorso. Un campo 3 deserto, singolare per una montagna come quella. Decidiamo di dormire li e svegliarci alle 4 per decidere cosa fare. Beh, all’alba la tenda è ricoperta di neve, letteralmente inghiottita: dobbiamo scavare per uscire! chi abbia mai camminato nella neve fresca, sa bene quanto sia faticoso e a 6000 m di altezza quella fatica diventa spaventosamente ingestibile, soprattutto se oltre alla neve bisogna combattere con un vento sferzante che fa percepire temperature di -30°.

Campo 3 a 6.100 dopo la nevicata - Foto @M.VillaniCampo 3 a 6.100 dopo la nevicata - Foto @M.Villani
Campo 3 a 6.100 dopo la nevicata - Foto @M.VillaniCampo 3 a 6.100 dopo la nevicata - Foto @M.Villani
Campo 3 a 6.100 dopo la nevicata - Foto @M.VillaniCampo 3 a 6.100 dopo la nevicata - Foto @M.Villani

Finisce lì, all’alba di quel giorno, la speranza di arrivare in vetta: la sicurezza prima di tutto.

Si torna giù però con la consapevolezza di aver fatto qualcosa che ci ha cambiato per sempre.

Ma c’è anche un altro lato delle spedizioni su cui non avevo mai riflettuto. Forse perché quando si racconta un’impresa si tendono a omettere le parti disagevoli in favore dell’incredibile bellezza che si è andati a scoprire fuori e dentro di sé.

E così oltre ai magnifici panorami che abbiamo visto, a ciò che abbiamo scoperto di noi e del nostro corpo, c’è la maturata consapevolezza che gli alpinisti in realtà gestiscono anche un lato delle loro esperienze molto meno attraente; cose banali come dormire in tenda per diverse settimane, portarsi tutti pasti che servono per arrivare in cima e tornare in basso, avere gas a sufficienza per sciogliere abbastanza neve sia da bere che per cucinare, mangiare sempre più o meno le stesse cose, lavarsi con acqua gelida, espletare i propri bisogni fisiologici in ogni condizione meteo, far passare il tempo rintanati in una tenda in attesa del momento migliore prima di affrontare la salita, avere le batterie cariche per poter contattare i campi bassi o per poter documentare il percorso ed infine l’elogio della lentezza; affrontare queste quote significa saper andare piano: un’arte meravigliosa.

Marcello Villani e Francesco Saviozzi - Foto @M.VillaniMarcello Villani e Francesco Saviozzi - Foto @M.Villani
Le vie di accesso al Lenin PeakLe vie di accesso al Lenin Peak


Potrei scrivere di questa esperienza per ore e ore, dato che ogni singolo momento passato in quelle tre settimane è stato di grande intensità!

Mi fermo invece con una considerazione:

le ore non sono tutte uguali nella vita di una persona; dovremmo cercare di dare più qualità al nostro tempo sulla terra. Che spettacolo di esperienza!!


Il Lenin Peak si erge con i suoi 7.134 m di altezza al confine tra il Tajikistan e il Kyrgystan nella regione autonoma del Gorn Badakhshan, nella catena montuosa del Pamir. Inizialmente battezzato Mount Kauffman nel 1928, a seguito della prima ascensione realizzata da tre scienziati tedeschi della Germania dell'Est, viene cambiato il nome in quello attuale dopo la rivoluzione russa. Nel 2006 viene cambiato nuovamente il nome in Tajiik Qullai Abuali Ibni Sino meglio conosciuto come Ibn Sina Peak

Autore
Marcello Villani
Marcello Villani
Project Team Leader presso NTT DATA Italia, si occupa prevalentemente dello sviluppo di portali web
Oltre ad essere un amante della corsa (in particolare dell'endurance trail) sono Guida Ambientale, istruttore di subacquea e pilota di parapendio. Nella vita di tutti i giorni sono uno sviluppatore software in una grande azienda IT, NTT Data Italia. Ho sempre con me il mio telefono per scattare fotografie e fare brevi video: è l'unico modo che ho trovato per non dimenticarmi nemmeno di quei piccoli dettagli che talvolta contribuiscono a rendere eccezionali delle avventure! Non dico mai no ad una birra e nemmeno ad un buon habanero. Oddio, pensandoci bene non dico mai di no praticamente a nulla! Ho una sola grande certezza: mai prendere decisioni quando si è stanchi...forse per questo la mia fidanzata afferma che sono spesso dubbioso :)
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