Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.
Così scrive Dante nel XXVI canto dell’Inferno. Quello dove il sommo poeta incontra Ulisse, facendosi raccontare per filo e per segno la sua leggendaria avventura e le motivazioni che lo spinsero, di ritorno dalla guerra di Troia, ad esplorare l’ignoto piuttosto che rientrare subito a casa. La ragione è presto detta, nei versi appena citati: a spingerlo fu il desiderio di conoscere, di sapere, di avventurarsi.
Eppure il peccato di Ulisse, e la ragione per cui Dante lo colloca all’Inferno, è quello di aver trascinato nel suo folle desiderio i compagni che lo seguivano, mettendoli in pericolo per un capriccio. Per questo l’eroe greco finisce nel girone dei consiglieri di frode, coloro che danno suggerimenti sbagliati, spingendo gli altri a correre rischi che non si sarebbero mai assunti da soli.
Un girone in cui probabilmente finirebbero, se fossimo ancora nel 1321, anche Symon Welfringer, Matteo Della Bordella, Sylvan Schüpbach e Alex Gammeter.
foto archivio @s.welfringer foto archivio @s.welfringer foto archivio @s.welfringer Dal 2021, i primi tre condividevano il desiderio di esplorare l’ignoto, imbarcandosi, come Ulisse, oltre le Colonne d’Ercole dell’alpinismo: la
Groenlandia, il limite estremo del mondo conosciuto, per cercare rocce mai sfiorate prima da mano alcuna. Montagne vergini che già era una sfida raggiungere, pagaiando per chilometri nell’Artico, lungo coste disseminate di calotte di ghiaccio.
Quell’anno,
Welfringer, Della Bordella e Schüpbach scalarono infine due vie sulla
Siren Tower, vetta che non a caso porta il nome di quelle stesse sirene che minacciavano d’incantare Ulisse sulla baia di Ieranto e dalle quali l’eroe greco si protesse facendosi legare alla nave per evitare di finire loro prigioniero.
n.d.r. L'intero racconto scritto direttamente da Symon Welfringer e tradotto dal francese dalla nostra redazione è stato pubblicato sul nostro blog: Alla ricerca della Libertà
Allo stesso modo, per evitare di avventurarsi su pareti tanto magnifiche, i tre avrebbero forse dovuto farsi legare ai propri kayak. Fortunatamente non lo fecero e quel primo viaggio divenne così la felice anticamera di
Odissea Borealis: la nuova via aperta quest’estate dal team, cui si è aggiunto, nel frattempo, anche Alex Gammeter.
La meta, questa volta, era ancora più ambiziosa: i
1.200 metri della parete ovest del Drøneren, una cima semi-sconosciuta, per scalare la quale Symon, Matteo, Sylvan e Alex erano muniti solamente di pochissime informazioni e di una fotografia.
foto archivio @s.welfringer foto archivio @s.welfringer foto archivio @s.welfringer «Senza contare che raggiungere la base della parete significava pagaiare in kayak per
300 chilometri. – racconta Symon – In generale, sono molto affascinato da questo genere di esperienze, dagli avvicinamenti lunghi che rendono più avventuroso l’insieme. La mia idea attuale di performance è quella di
combinare diverse attività, trovando modalità inedite di approcciare la montagna, con maggiore impegno e sfida. È l’alpinismo
“by fair means” che si richiama un po’ al passato e che senz’altro richiede una buona dose di capacità tecniche e di resistenza, in discipline differenti.»
«Rispetto al passato, però, penso che se una volta l’intenzione era quella di passare più tempo possibile in montagna, oggi vale quasi il contrario. Quando la permanenza in ambiente è estremamente breve significa che sei performante. Mentre un tempo le ore passate in montagna, anche in bivacchi notturni, erano i momenti migliori, adesso l’obiettivo è accorciare i tempi, ridurre le permanenze:
una tendenza che espone al rischio di perdere un po’ lo spirito d’avventura. L’idea di combinare differenti attività mi affascina perché scongiura proprio questo rischio: l’avventura viene intesa globalmente e non solo come la conquista alpinistica di una vetta o di un itinerario blasonato. Devi essere forte in diversi campi e questo mi affascina».
Il kayak in acque interne era inoltre una disciplina praticata da Symon in gioventù: riprenderla in mano, negli ultimi anni, è stato quasi un richiamo.Partiti lo scorso 11 luglio, l’Odissea dei nostri quattro eroi è cominciata ben presto.
foto archivio @s.welfringer foto archivio @s.welfringer foto archivio @s.welfringer «Ogni giorno accadeva qualcosa – spiega Symon – fra
meteo avverso,
animali selvaggi e
problemi logistici. Anzitutto abbiamo dovuto attraversare almeno due grosse
tempeste, nei primi giorni di navigazione. Venti a 100 chilometri orari e
onde che raggiungevano i 3 metri hanno messo a dura prova la nostra resistenza. Ogni volta che parti per spedizioni di questo tipo metti poi in conto di dover affrontare diversi intoppi, ma di certo l’
orso polare era in fondo alla nostra lista di eventuali problemi.»
«Presto ci accorgemmo che invece dovevamo metterlo in cima. In tutta la spedizione, ne abbiamo visti almeno quattro ed è stato proprio l’ultimo a crearci non poca
inquietudine. Ci ha visti e ha cominciato a venirci incontro con passo deciso, fino ad arrivare a davvero pochissimi metri da noi. Abbiamo dunque sparato in aria per spaventarlo, ma solo dopo diversi colpi siamo riusciti a farlo tornare sui suoi passi». Un incontro ravvicinato che ha influito molto sulle giornate successive. «Da quel momento – prosegue Symon – abbiamo deciso di fare una sorta di turnazione di
guardia per le ore notturne, così da non lasciarci sorprendere».Una volta giunti alla base del loro obiettivo, i quattro, in tre giorni (due per la salita e uno per la discesa), sono riusciti a tracciare una nuova linea sulla parete nord-ovest del Drøneren.
«Una montagna bella ed estetica come soltanto l’ignoto sa esserlo – continua Symon – e dove, fatto salvo un tiro di
7b molto psicologico, l’arrampicata è estremamente godibile». In totale la via, lunghissima, conta
35 tiri e proprio all’ultimo bivacco i cieli della Groenlandia hanno omaggiato il gruppo con una stupenda ed indimenticabile
aurora boreale.
foto archivio @s.welfringer foto archivio @s.welfringer foto archivio @s.welfringer «Forse è proprio in quel momento che il nome della via è arrivato ad avere un senso ancora più pieno – racconta Symon – ma la nostra odissea era ben lungi dal finire visto che sulla via di ritorno in kayak ci accorgemmo di trovarci molto in difficoltà con le scorte dei viveri». Per questo Symon, Matteo, Sylvan e Alex si sono visti costretti a farsi venire a prendere, dopo i primi 150 chilometri di pagaiate.
Complessivamente, la spedizione – l’Odissea – è durata 32 giorni. E forse il motivo per cui i nostri eroi non sarebbero mai finiti nell’Inferno dantesco è che nessuno di loro ha dovuto convincere l’altro a farsi trascinare in quest’avventura.
«Trovo che l’esprit de cordée sia una cosa fondamentale. – conclude Symon – La cordata, il gruppo, è sempre più importante dell’obiettivo che ti poni. Le relazioni che ho con le persone con cui parto per le mie spedizioni sono sempre caratterizzate da grande amicizia e stima: non siamo solo compagni una volta ogni tanto ma amici con cui condividere molto, anche nella vita quotidiana. Questo cambia anche il modo in cui vivi la tua vita quotidiana: le situazioni estreme ti costringono alla solidarietà, alla gentilezza e a fare tuoi i problemi dell’altro».
Allora forse sì: come diceva Dante, si tratta di spingere gli altri a correre rischi che non si sarebbero mai assunti da soli. Nella consapevolezza, però, che assumerseli insieme significa dimezzarne le fatiche e raddoppiarne le gioie.E, volta nostra poppa nel mattino, de' remi facemmo ali al folle volo.
n.d.r. Odissea Borealis è la nuova via di 1.200m, 35 tiri, 7B aperta sulla parete nordovest del Drøneren da S. Welfringer, M. della Bordella, S. Schüpbach e A. Gammeter. Symon Welfringer, vincitore del Pilet d'or, è Testimonial ELBEC dal lontano 2019 ed utilizza i nostri prodotti per l'alpinismo in lana merinos nelle sue imprese.
Qui di seguito troverai una selezione dei migliori articoli scritti per il blog di ELBEC da Symon Welfringer