Nuova estate significa una nuova avventura solidale per l’esploratore di Legnaro, che in questa intervista ci racconta il suo ultimo cammino nella Groenlandia più selvaggia L’isola più grande al mondo è anche la meno densamente popolata, con l’80% delle proprie terre ricoperte da uno strato di permafrost.
«Inoltre in
Groenlandia soltanto 56 chilometri di strade risultano percorribili – aggiunge Daniele Matterazzo – e collegano unicamente i pochissimi centri abitati che possiamo trovare lungo le coste, mentre il restante territorio è alla mercé di una natura selvaggia ed incontaminata».
Quella natura selvaggia ed incontaminata capace di affascinare da sempre il giovane esploratore originario di
Legnaro, in provincia di Padova, che da qualche anno cerca periodicamente nella solitudine e nell’avventura nuove modalità di scoperta e condivisione di sé.
Vittima nel 2005 di un incidente stradale che gli ha compromesso l’uso dell’arto sinistro, è proprio grazie ai lunghi tragitti a piedi che Daniele ha trovato il coraggio di rimettersi in gioco, a quindici anni da quell’evento funesto.
foto archivio @d.matterazzo foto archivio @d.matterazzo foto archivio @d.matterazzo Dopo il
cammino di Santiago nel 2020, il
Kungsleden nella Lapponia svedese e la
traversata dell’Islanda nel 2023, Matterazzo ha recentemente confermato la sua fascinazione per i territori più freddi ed insidiosi, concludendo l’
Arctic Circle Trail nell’agosto scorso.
«Il percorso che ho scelto – spiega Daniele – è ispirato ad un’antica via di collegamento stagionale utilizzata sin dall’antichità dagli
Inuit, popolazione indigena e nomade delle regioni artiche. Un itinerario che dall’immensa calotta di ghiaccio denominata “
ice cap” conduce in circa
200 chilometri, suddivisibili in una decina di tappe, al
Mar di Groenlandia».
In realtà, nelle relazioni “ufficiali” del tragitto, toccare l’ice cap non è previsto.
«Ho voluto aggiungere questa ulteriore tappa al mio percorso – racconta Daniele – perché era quasi obbligatorio per me poter ammirare quella calotta di ghiaccio. Si tratta della seconda calotta più grande al mondo e raggiungerla ha significato allungare l’itinerario di circa 35 chilometri, ma ne è valsa la pena. Dopo, ho passato quella mia prima notte artica in un misto di euforia e contentezza, accompagnato dal suono degli scrosci impetuosi d’acqua, provenienti proprio dalla calotta, che mi tenevano sveglio».
Il tutto, lo ricordiamo, dentro una tenda leggera e con l’essenziale nello zaino: leggerezza ed essenzialità che caratterizzano parimenti i passi di Daniele e la sua voglia di riscatto, non solo simbolica.
«Ogni mia avventura – afferma infatti – è collegata ad un
fundraising che di anno in anno coinvolge diverse realtà. Questa volta la raccolta fondi era destinata a
Fondazione Mazzola, un’organizzazione no profit che promuove lo sport come strumento di inclusione sociale ed economica».
Un’inclusione che Daniele, prima ancora di divulgarne le potenzialità, fa assolutamente propria e cerca di vivere quotidianamente sulla pelle.
foto archivio @d.matterazzo foto archivio @d.matterazzo foto archivio @d.matterazzo «La mia vita è simile a quella di tanti altri – prosegue – Ho un lavoro comune, in un’azienda che produce manufatti in lamiera e che, una volta venuta a conoscenza di questi miei obiettivi, ha cominciato a venirmi incontro per quanto riguarda ferie e permessi».
Di qui la possibilità di programmare il cammino in Groenlandia, ribattezzato da Matterazzo “
Polar Route” «perché mi piaceva l’immagine di questa stella polare che ha sempre un po’ guidato le rotte dei navigatori, quando ancora non c’erano strumenti e tecnologie varie. Il mio obiettivo è poi sempre quello di accendere nuovi fari sul tema della disabilità e volevo che questa mia “stella polare” contribuisse di nuovo a farlo».
Fra i momenti più difficili dei dieci giorni trascorsi in Groenlandia vi è il continuo sprofondare nella tundra, «un acquitrino costante che rendeva faticoso il mio incedere».
Fra quelli più belli, invece, l’essere altrettanto costantemente circondato da un ambiente davvero straordinario, anche se
«ogni incontro con la natura, anche il più quotidiano, ci pone faccia a faccia con i nostri limiti. – continua Daniele – Non servono grandi disagi o condizioni particolarmente estreme per esperire quello che ho esperito io. Ecco, credo che le coordinate in cui si arriva a vivere queste esperienze, in Groenlandia come a casa, diventino poi i luoghi dell’anima, i luoghi che salvano. Quei posti, cioè, dove ciascuno di noi può incontrare la sua parte più vulnerabile e in un certo senso scoprire, contemporaneamente, chi è davvero».
Chi è dunque, davvero,
Daniele Matterazzo? «Un sognatore, indole che non riesco a rinnegare e caratteristica che il più delle volte, in passato, mi ha condotto verso sbagli ed azzardi, ma che in determinate occasioni mi si è riproposta come pura e univoca salvezza».
Una salvezza che lo porterà, nel 2025, a rincorrere altri due obiettivi di grande caratura.
Daniele Matterazzo indossa un berretto Classic Strong realizzato a mano nell'ambito del progetto ELBEC Manifattura Diffusa «Il primo è qualcosa di lontano dai cammini fatti finora. Si tratta dell’
IronMan 70.3, competizione in cui vorrei mettermi in gioco per capire meglio come affrontare nuove sfide che ritenevo a me precluse in forza della mia condizione, bici e nuoto fra tutte».
Il secondo obiettivo si pone sempre sulla falsariga dei cammini ed è la traversata di un deserto artico, il
Sarek, fra Svezia e Lapponia.
«Anche in questo caso – conclude Daniele – ci sarebbe un coefficiente di difficoltà e novità in più: per portare a termine l’itinerario in inverno, dunque fra marzo e aprile del 2025, dovrei compierlo con gli sci d’alpinismo ai piedi, portando viveri e materiale su una pulka. Per questo ho necessità di capire come organizzare il tutto».
Un doveroso appello va dunque a tutte quelle realtà interessate a supportare il sogno di Daniele che come
ELBEC lo sostiene da svariati anni.